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La prima edizione riunì testi già apparsi in rivista più diversi inediti. La seconda edizione, con un saggio di Alfredo Gargiulo, si accrebbe di altre sei poesie, tra cui Arsenio, già pubblicato su «Solaria» nel 1927.

Ossi di seppia accoglie poesie scritte tra il 1920 e il 1927. Divisa in sei sezioni titolate («In limine», «Movimenti», «Ossi di seppia», «Mediterraneo», «Meriggi e ombre», «Riviere»), la raccolta, che in origine doveva intitolarsi “Rottami”, si presenta come singolare e profonda meditazione in versi sulle contraddizioni e le sofferenze dell’esistenza umana. Il desiderio di conoscenza alla base della poesia di Montale fa sì che i vari componimenti abbiano sempre una precisa funzione critica nell’ambito di un complesso sistema interpretativo della realtà circostante: contro l’«inganno», dal quale sembrano prendere vita illusioni e falsi equilibri quotidiani, rimane la speranza di trovare uno spiraglio, una via d’uscita che diventa qui lo «sbaglio di Natura», «l’anello che non tiene» di quella catena che ci lega senza scampo a un’esistenza chiusa e limitante.

Con la poesia d’esordio, In limine, si avvia subito la ricerca di questa

«maglia rotta nella rete / che ci stringe»,

introducendo la concezione montaliana del limite e del suo superamento come fuga dalla «certezza ferrea della necessità». Se è vero chela poesia degli Ossi riflette il senso di emarginazione della borghesia liberale negli anni che precedettero il fascismo, il pensiero di Montale spicca, tuttavia, nella sua peculiare eccezionalità fin da questo programmatico testo d’inizio, in cui si colgono le linee di uno svolgimento poetico che inserisce la personale ansia conoscitiva dell’autore in un ambito fisico ben circoscritto. Lo scenario che fa da sfondo agli Ossi, infatti, rispecchia con la sua caratteristica asprezza lo stile duro e scabro scelto da Montale nel tentativo di dar voce a un disagio interiore e insieme universale, sul quale sembra gravare una natura affaticata con stagioni calde e opprimenti in un mondo “contrario” all’uomo.

La prima edizione degli "Ossi"

La prima edizione degli “Ossi”

In I limoni il solitario paesaggio ligure, severo e arido, si offre per epifanie:

«Vedi, in questi silenzi in cui le cose / s’abbandonano e sembrano vicine / a tradire il loro ultimo segreto, / talora ci si aspetta / di scoprire uno sbaglio di Natura, / il punto morto del mondo, l’anello che non tiene, / il filo da disbrogliare che finalmente ci metta / nel mezzo di una verità».

Nell’impossibilità di raggiungere quel «miracolo» tanto desiderato, ciò che rimane è la purezza del mondo naturale con gli orti, i limoni e i lunghi silenzi che creano l’illusione della salvezza aprendo il cuore alle «trombe d’oro della solarità».
Paesaggio circostante e moti dell’anima procedono dunque paralleli, simili nelle loro asprezze già in questa sezione «Movimenti», dove trovano luogo, però, soprattutto esperimenti eterogenei e poesie ispirate a una maniera classico-dannunziana nutrita di echi della grande tradizione simbolista. Come preludio alla poesia successiva, spicca semmai il tono dissonante di Falsetto, che attraverso l’immagine di Esterina, adolescente portatrice di vita e soprattutto figura simbolica dell’incoscienza, trasmette per contrasto la decisa volontà di vivere al di qua delle illusioni:

«Ti guardiamo noi, della razza / di chi rimane a terra».

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Ad aprire la sezione dei veri e propri «Ossi di seppia» (ventidue pezzi brevi senza titolo, che in un primo momento avrebbero dovuto intitolarsi «Rottami») è la rinuncia del poeta a dare risposte, rinuncia significativa che è anche dichiarazione dì poetica e messaggio di negazione ideologica:

«Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, / sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. / Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».

Comune a questi componimenti e a tutta la raccolta sarà il continuo appello a un immaginario interlocutore che verrà incitato via via ad accettare la sfida («Non rifugiarti nell’ombra» ), a sfuggire dalla stretta della necessità («Tu balza fuori, fuggi!») e a lottare in cerca di una via d’uscita oltre il limite. Quello stesso limite che torna in immagini di prigione, di reticolato, di «muraglia», metafora di una chiusura soprattutto esistenziale, che domina fin dal primo componimento scritto nel 1916, Meriggiare pallido e assorto, poi inserito nella sezione «Ossi di seppia»:

«E andando nel sole che abbaglia / sentire con triste meraviglia / com’è tutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia».

L’alternanza tra un lessico ricercato fitto di termini tecnici e un lessico, invece, più colloquiale e dìsteso riporta alla dicotomia realtà-illusione su cui si gioca tutto il racconto lìrìco del libro. La novità di un tale linguaggio, nonché dei contenuti etici e psicologici degli «Ossi», si pone del resto in consonanza con un sistema metrico e formale del tutto personale pur agito all’interno di forme riconoscibili e autorizzate.
Di fronte al «male di vivere» presente nel mondo, solo una «divina Indifferenza» sembra poter mettere in salvo l’uomo annullandone qualsiasi tormentoso interrogativo, e una pur fugace felicità diventa un inutile miraggio se paragonata all’íncommensurabile dolore umano:

«Felicità raggiunta, si cammina / per te su fil di lama. / Agli occhi sei barlume che vacilla, / al piede, teso ghiaccio che s’incrina; / e dunque non ti tocchi chi più t’ama. // Se giungi sulle anime invase / di tristezza e le schiarì, il tuo mattino / è dolce e turbatore come i nidi delle cimase. / Ma nulla paga il pianto del bambino / a cui fugge il pallone tra le case».

Un'edizione inglese degli "Ossi"

Un’edizione inglese degli “Ossi”

L’instabilità del rapporto fra uomo e realtà circostante si riflette anche nel rapporto con gli altri e nel contrasto tra giovinezza ed età matura, sempre nella constatazione tragica della condizione umana e del suo riflesso nella coscienza. Immagini metaforiche e brevi squarci di un passato vissuto nell’inconsapevolezza si alternano allora negli ultimi «Ossi» a consolidare la struttura di una «filosofia lirica» di grande impatto ideologico, in cui la rivelazione dell’inganno nella maturazione progressiva della coscienza sembra interrompere bruscamente l’epoca della fanciullezza, «età illusa»:

«Giungeva anche per noi l’ora che indaga. / La fanciullezza era morta in un giro a tondo», dirà il poeta in Fine dell’infanzia, nella sezione «Meriggi e ombre».

La sezione «Mediterraneo» (formata da nove pezzi omogenei scritti nel 1924) è imperniata sul mito del mare inteso come simbolo di purificazione e di forza cosmica divinizzata. Caratterizzata da un evidente gusto per la musicalità, si arricchisce di varie suggestioni letterarie della tradizione, rinnovate alla luce dell’ideologia montaliana, adesso però espressa nella dimensione del passato:

«Volli cercare il male / che tarla il mondo, la piccola stortura / d’una leva che arresta / l’ordegno universale; e tutti vidi / gli eventi del minuto / come pronti a disgiungersi in un crollo».

Nell’ampia sezione «Meriggi e ombre» si manifesta, invece, un aggravamento del pensiero negativo degli «Ossi» che arriva, in Flussi, fino alla “formula” prima negata:

«La vita è questo scialo / di triti fatti, vano / più che crudele»

o anche, in un facile ribaltamento, «la vita è crudele più che vana». Nell’annullamento totale di una immaginaria fine del mondo, anche la legge di necessità viene poi travolta e il «male di vivere» diventa quasi un elemento di rassicurazione:

«ora è certa la fine, / e s’anche il vento tace / senti la lima che sega / assidua la catena che ci lega. / […] / e un ordine discende che districa / dai confini / le cose che non chiedono / ormai che di durare, di persistere / contente dell’infinita fatica» (Clivo).

Con Arsenio, componimento-chiave che annuncia ormai il passaggio alle Occasioni, l’immagine autobiografica dell’inetto con la sua « vita strozzata» partecipa a un altro mancato miracolo, nella negazione più totale di qualsiasi salvezza personale, che negli Ossi, d’altronde, è sempre delegata agli altri. Una salvezza, tuttavia, che verrà inseguita come una speranza nella rievocazione di un passato lontano nell’ultimo componimento:

«Potere / simili a questi rami / ieri scarniti e nudi ed oggi pieni / di fremiti e di linfe, / sentire / noi pur domani tra ì profumi e i venti / un riaffluir di sogni, un urger folle / di voci verso un esito; e nel sole / che v’investe, riviere / rifiorire!» (Riviere).

Gli Ossidi seppia si segnalarono fin dall’inizio per il loro carattere di sostanziale conservatorismo formale che, unito alla forte novità dei contenuti, offriva un esempio sommamente originale di scrittura in versi. L’impianto speculativo della raccolta, ricondotto immediatamente dalla critica al profondo travaglio vissuto dall’autore, colpì anche e soprattutto in relazione al linguaggio “petroso” e aspro che lo caratterizzava. Alfredo Gargiulo individuò negli Ossi una doppia tensione che avrebbe costituito la cifra di tutta la raccolta: da una parte un processo di «disgregazione critica», dall’altra la sua tendenza a comporsi «nelle forme più sintetiche». La difficoltà del dettato lirico montaliano venne variamente sottolineata dalla critica, che la mise sempre in relazione con la profondìtà concettuale dell’autore. Anche il rapporto con il paesaggio ligure e i suoi poeti, infine, è stato più volte indagato in quest’«opera genialmente provinciale» (Pier Vincenzo Mengaldo).

Fondamentale per la lettura degli Ossi di seppia, e di tutta la poesia dì Montale in genere, è L’opera in versi, edizione critica curata da Rosanna Bettarini e Gianfranco Contini, oltre all’edizione di Tutte le poesie, a cura di Giorgio Zampa.