Antonio Rubino, disegnatore e poeta noto principalmente per l’attività di illustratore e scrittore per l’infanzia, nasce a Sanremo il 15 maggio 1880. I suoi primi esercizi letterari – poesie burlesche e poemi grotteschi – risalgono alla fanciullezza e all’adolescenza; il suo apprendistato artistico da autodidatta precede la laurea in Giurisprudenza, conseguita nel 1903, e trova la sua prima espressione di rilievo in opere figurative caratterizzate da uno spiccato gusto per il macabro e da uno stile fortemente influenzato dall’estetica floreale dell’Art Nouveau. Nel clima culturale europeo, scosso alla fine del XIX secolo dal movimento del simbolismo, corrono gli anni del decadentismo e dei primi fermenti di rinnovamento da cui nel giro di pochi anni sorgeranno il futurismo e le altre avanguardie.
Il giornalino della Domenica (1907) Legato in qualità di poeta all’ambiente dell’avanguardia, il giovane Rubino è tuttavia estraneo al movimento futurista (benché ne condivida la spinta sovversiva e l’interesse per il mondo moderno, meccanico e tecnologico); la rivoluzione artistica che lo vedrà protagonista, piuttosto, interessa l’editoria e la letteratura per l’infanzia. Nel 1907 Rubino comincia a disegnare le copertine per Il giornalino della Domenica, settimanale per bambini fondato da Luigi Bertelli(in arte Vamba, autore de Il giornalino di Gian Burrasca). |
L’anno seguente viene invitato da Silvio Spaventa Filippi a collaborare alla nascita del Corriere dei Piccoli, supplemento domenicale per bambini del Corriere della Sera, che fa il suo esordio in edicola il 27 dicembre 1908. Rubino disegna la testata, illustra alcuni racconti, scrive i versi in rima che corredano le vignette, e soprattutto crea un numero impressionante di personaggi a fumetti, senza mai legarsi per troppo tempo ad una sola serie – secondo un’irresistibile volontà di rinnovamento e sperimentazione – ma sempre distinguendosi per l’originalità delle storie e l’inesauribile vena creativa.
A. Rubino, Pino e Pina (Corriere dei Piccoli, II, 9, 1910) |
Negli anni seguenti, oltre a quella longeva e proficua col Corriere dei Piccoli, non si contano le sue collaborazioni ad ogni genere di testate e progetti editoriali: al primo decennio del secolo risalgono quelle per l’Avanti!, L’Auto d’Italia, Il Risorgimento Grafico e La Lettura; negli stessi anni Rubino comincia ad illustrare diversi libri, tra cui i racconti di Andersen pubblicati da Bemporad nel 1911; durante la prima guerra mondiale lavora come scrittore e disegnatore al giornale di trincea per soldati La Tradotta; negli anni seguenti dirige Il Balilla (1926), fondaMondo Bambino (1929) e Mondo Fanciullo (1933), collabora con Il Cartoccino dei Piccoli; nella seconda metà degli anni ‘30 dirige per Mondadori Topolino, Albi d’Oro, I Tre Porcellinie Paperino. Al termine della seconda guerra mondiale collabora a Bambola, Gazzetta dei Piccoli e Modellina (1947), mentre nel 1949, a Sanremo, fonda Il Gazzettino della Riviera dei Fiori (poi rinominato Il Gazzettone e infine La Gazzetta di Sanremo).
Gran parte dell’attività di Rubino, poi, è dedicata alla scrittura e all’illustrazione di opere pubblicate in volume. Nel 1911 è la volta di Versi e disegni, raccolta di poesie e di illustrazioni legate alla poetica del decadentismo, ambientate in una natura crepuscolare e animate da una folta schiera di figure fiabesche, fantastiche e mitologiche. Negli anni seguenti scrive ed illustra moltissimi volumi di storie per l’infanzia in versi e in prosa, tra cui ricordiamo I balocchi di Titina (1912), Viperetta (1920), Tic e Tac (1920), Fata Acquolina (1922 ca.), i volumetti della serie La scuola dei giocattoli (1922), Il giardino di Fiorella (1926), Caro e Cora (1928), Il frottoliere (1929), Fiabe quasi vere (1936), Pupi giocattolo infelice (1938) e Il collegio La Delizia(1939), racconto in rima scritto da Renato Simoni e illustrato da Rubino.
A. Rubino, Viperetta (1920) |
A. Rubino, Tic e Tac (1920) |
L’edizione Giunti Marzocco (1986) di Pupi giocattolo infelice (1938). |
Tra le più singolari opere concepite da Rubino meritano una menzione i fantascientifici racconti illustrati de Le cronache del futuro, pubblicati a puntate sul Corriere dei Piccoli dal 1932 al 1934 e mai raccolti in volume – nonostante l’insistenza dell’autore – fino al 2012 (col titolo Fiabe del tempo futuro). Un’altra opera mai pubblicata, destinata ad un pubblico adulto, è l’ambizioso poema in versi Il mistero del tempo, scritto tra il 1943 e il 1945 e proposto a Mondadori nel 1963, notevole per la struttura in ventiquattro canti da sessanta versi l’uno, secondo una corrispondenza perfetta con le ore e i minuti di una giornata.
Dotato di una genialità febbrile ed eclettica, Rubino sperimenta anche la possibilità di animare i suoi disegni reinventandosi nel ruolo di regista: nel 1941 realizza Il paese dei ranocchi, cortometraggio che nel 1942 viene premiato alla Mostra del Cinema di Venezia, e negli anni seguenti lavora a Crescendo Rossiniano, perduto durante la guerra, e ad altri progetti di cartoni animati che tuttavia non riesce a portare a termine. Nel 1955, con la macchina da presa sinalloscopica di sua invenzione, realizza I sette colori. La sua feconda attività artistica, poi, è testimoniata da una produzione quanto mai disparata per genere, che comprende cartoline, ex libris, pubblicità, scenografie teatrali, marionette, giocattoli e perfino alcune camerette per bambini (tra cui quella conservata alla Wolfsoniana di Genova Nervi, del 1922 ca.), di cui Rubino disegna interamente ogni arredo.
Prima di spegnersi a Baiardo nel 1964, così si definisce in Curriculum ridiculum (1962), scritto in cui cerca di tirare le fila della sua lunga e multiforme carriera: «Giornalista per ragazzi, favolista, autore di libretti e di commedie, decoratore di ambienti, scenografo, attore, polemista, regista di disegni animati e persino, nei ritagli di tempo, raccoglitore di olive». E conclude in questi termini: «Se io sono nato poeta e pittore non ne ho nessuna colpa, non ne ho merito alcuno. Non ho fatto altro, durante i miei ottant’anni di vita, che seguire la mia sorte. Il mio motto è sempre stato questo: sequor naturam meam»
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