Twentysix Gasoline Stations, 1963 di Edward Ruscha

Twentysix Gasoline Stations, 1963 di Edward Ruscha

Nel 1962 Ed Ruscha decide di percorrere la celeberrima route 66 in un progetto che a ben guardare racconta la vita dei distributori di benzina senza però, ed è importante sottolinearlo, mai fotografare la strada stessa. Twentysix Gasoline Stations, come il titolo del libro indica, contiene, infatti, le immagini di 26 stazioni di servizio fotografati lungo la Route 66 tra Los Angeles e Oklahoma.

Il libro è un viaggio che va da owest verso est e a prima vista sembra documentare un viaggio di andata e ritorno organizzato in maniera quasi cabalistica: il 26 inverte l’anno di pubblicazione 1962, le pagine comprese le copertine sono esattamente il doppio, ossia 52 in modo che il numero di pagine singole corrisponde esattamente al numero di oggetti raffigurati: due stazioni di benzina a Los Angeles, due a Williams, in Arizona, e due a Oklahoma City fino all’ultimo distributore Fina a Groom in Texas.

In questo modo anche la marca della benzina ha un senso e Fina come nei titoli di coda di un film rimanda alla fine del viaggio e delle 26 stazioni che lette da un punto di vista cattolico sono le 13 stazioni del calvario, meno la crocifissione, che vanno da Los Angeles alla città natale di Ed Ruscha in Oklahoma e poi altre tredici per dare un senso al rifiuto di questo sacrificio da Oklahoma City alla Città degli Angeli.

Il libro è cosi una narrazione filosofica e analogica di un viaggio interiore che disegna una mappa precisa che si muove da sinistra a destra, di serbatoi di gas e idrocarburi visti negli stessi punti ma da angolazioni differenti. Una sorta di viaggio al centro della terra e ritorno, nel quale ogni punto ha una sua collocazione precisa che rimanda alla geografia più ampia di una no man’s land, una terra di nessuno dove l’assenza viene fissata sulla pellicola da innocui e anonimi nomi visibili e percorribili in qualsiasi strada americana.

Pagine interne del volume

Pagine interne del volume

I rimandi, ovvi, sono al readymade, di Marcel Duchamp, uno degli artisti che maggiormente ha influenzato Ruscha, la presenza iconica di oggetti quotidiani e il desiderio di farli diventare opera d’arte. Lo stesso che negli stessi mesi fa Warhol col la sua zuppa Campbell, il ripresentare un oggetto come una semplice lattina in un’opera d’arte cristallizzando l’oggetto e trasformandolo in icona. I paralleli con il libro di Ruscha però si fermano qui a cominciare dal fatto che le Twentysix Gasoline Stations non sono un insieme di dipinti ma solo di un libro di fotografie.

Questo aspetto pop del libro di Ed Ruscha viene sottolineato dall’autore stesso in un dipinto del 1963: Standard Station, Amarillo, Texas, in cui il tempo della fotografia viene fermato e cristallizzato in una stazione di gas ideale che rimanda alla serie Twentysix Gasoline Stations e nel quale l’idea di un diverso modo di intendere la fotografia sta già facendosi strada.

E’ l’idea di un’arte concettuale applicata alla fotografia in cui la teoria, il concetto, è più importante del lavoro manuale. Come nel 1967 l’ha definita Sol Lewitt: [quote]Quando un artista usa una forma concettuale d’arte, vuol dire che tutta la pianificazione e le decisioni vengono prese prima e l’esecuzione è un affare superficiale. L’idea diventa la macchina che fa l’arte.[/quote]

La classificazione, così dell’opera di Ed Ruscha diventa alquanto complicata, se è vero che dopo alcuni decenni Twentysix Gasoline Stations in alcune biblioteche non lo si trova sotto la categoria arte ma sotto quella trasporti, ci fa capire come quest’opera sia difficilmente categorizzabile, un esempio di arte fluida che sembra continuamente eludere qualsiasi tentativo di definizione.

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Interno del volume

Interno del volume