Nella prima metà del Cinquecento Venezia produce quasi la metà dei libri stampati in Italia, ed è il più importante centro europeo del libro a stampa. Proprio a Venezia, agli inizi del secolo (1501), Aldo Manuzio pubblica i suoi enchiridia (libri tascabili), classici latini senza note e senza commento, realizzati con il nuovo carattere corsivo di Francesco Grifo: ottiene un enorme successo, in tutto il continente. Ma la Serenissima non ospita solo la tipografia di Manuzio: fra le dinastie di editori-librai attivi in questo periodo basta ricordare i Giunti (celebri per l’editoria religiosa e scientifica, nonché per avere creato una rete di vendita davvero europea, dalla Spagna alla Polonia) e i Giolito (“specializzati” nella produzione di libri in volgare, si avvalgono della collaborazione di molti autori). Il successo della città veneta è dovuto, certamente, alla sua posizione geografica, che la rende un nodo centrale dei commerci fra Europa e Medio Oriente: non a caso, accanto ai libri in latino e in volgare si stampano anche testi in ebraico, armeno e glagolitico, e negli anni Trenta Alessandro Paganino realizza il Corano in arabo (senza successo).
Però, un altro elemento che favorisce lo sviluppo della stampa a Venezia è l’intraprendenza di alcune famiglie patrizie, che investono i propri capitali a sostegno dell’attività editoriale. Nel Cinquecento, infatti, accanto ai tanti piccoli tipografi sempre sull’orlo del fallimento, si affermano le prime grandi imprese editoriali: sono aziende nel senso moderno del termine, con numerosi dipendenti e progetti editoriali precisi (a volte anche troppo ambiziosi), si servono dell’opera dei migliori incisori di caratteri (Grifo per Manuzio, Garamond per Estienne, Granjon per Plantin) e si avvalgono dell’aiuto di famosi eruditi del loro tempo (ad esempio Erasmo, che collabora con Manuzio); per questi motivi, com’è ovvio, necessitano anche di cospicui finanziamenti.
Inoltre, mentre i luoghi di produzione dei libri a stampa sviluppano una fisionomia più precisa, il libro stesso assume un aspetto più stabile: se nei manoscritti, in genere, niente permetteva di riconoscere l’autore, nel libro stampato si diffonde l’utilizzo del frontespizio, sul quale viene riportato, a grandi lettere, il nome dell’autore, quello del dedicatario del libro e quello dello stampatore: i diversi attori del processo di produzione acquistano, progressivamente, una maggiore consapevolezza del proprio ruolo. In seguito a ciò, autori e stampatori cercano di tutelare l’opera del proprio ingegno, per evitare che possa essere riprodotta senza il loro consenso: si ricorre, così, a strumenti quali la patente di privilegio, che conferisce all’autore o allo stampatore il diritto esclusivo di stampa e di vendita di un libro per un certo numero di anni (variabile a seconda dei casi); questo strumento di protezione, adottato già nel Quattrocento, nel Cinquecento diventa una pratica di uso comune. La patente di privilegio, inoltre, può riguardare anche più di un libro (nel 1505, in Polonia, il tipografo Johann Haller ottiene il monopolio su tutti i libri che pubblica), oppure il tipo di caratteri (Manuzio, infatti, chiede un privilegio a protezione dei caratteri del Grifo). Il privilegio, però, ha valore solo nel territorio controllato dall’autorità che lo ha concesso, e questo ne limita fortemente l’efficacia: solo il papa, infatti, rilascia privilegi che teoricamente hanno un valore universale, ma anche in questi casi l’effettivo rispetto del provvedimento è legato all’influenza del pontefice sui singoli governi. Gli autori, allora, devono fare ricorso a più privilegi per la stessa opera, come fa Ariosto, che, per tutelare l’Orlando furioso, si rivolge al papa, al sovrano francese e alla Serenissima: però, nonostante questi accorgimenti, non mancano edizioni pirata del suo capolavoro.
La stampa, infine, non è estranea al grande fenomeno della Riforma: Lutero la considera un dono divino e se ne serve, assieme all’uso del volgare, per favorire la diffusione della sua dottrina. Attorno a Wittenberg e alle città tedesche più coinvolte dal movimento luterano si sviluppano numerose stamperie, attirate dalla possibilità di pubblicare gli scritti del monaco agostiniano e degli altri riformatori. Le persone in grado di leggere e scrivere sono ancora un’esigua minoranza, ma le opere in volgare, come le traduzioni della Bibbia, se lette ad alta voce, in sedute collettive, raggiungono anche il pubblico più analfabeta. Inoltre, accanto alle pubblicazioni più ricche, ci sono moltissimi fogli volanti a basso costo, in quarto (naturalmente in volgare), spesso accompagnati daxilografie caricaturali, aventi per oggetto gli avversari di Lutero; anche questa grande mole di pubblicazioni di propaganda passa per le stamperie. Uno dei più grandi stampatori del secolo,Christophe Plantin di Anversa, mantiene un atteggiamento ambiguo nei confronti della Riforma: infatti, pur essendo simpatizzante di dottrine non cattoliche, è anche protetto del cattolicissimo Filippo II di Spagna, e divide la sua produzione fra pubblicazioni cattoliche e pubblicazioni eterodosse. I libri dei riformatori trasportano le idee luterane in tutta Europa, ma in paesi cattolici come l’Italia la loro circolazione è difficile e avviene clandestinamente, a causa della dura opposizione del papato.
Dal momento che il libro, in particolare il libro in volgare, era stato tanto utile alla causa della Riforma, la reazione della Chiesa romana si attua anche attraverso una dura censura, per controllare e limitare la diffusione, attraverso i libri a stampa, di idee considerate eretiche e pericolose. L’istituzione dell’Indice dei libri proibiti, ad opera di Paolo IV, è l’aspetto più evidente dell’atteggiamento della Chiesa romana, che vieta anche le traduzioni della Bibbia: solo il catechismo viene stampato in volgare, perché i curati lo leggano ai fedeli, divulgando così le idee conciliari. La censura, però, non segue criteri precisi, ma si abbatte ogni anno su opere diverse, in un atteggiamento di generale diffidenza verso la lettura, vista come qualcosa di pericoloso, non adatto a tutti. Questa situazione non favorisce certo lo sviluppo della cultura, e così in Italia, dove il controllo della Chiesa romana è particolarmente stretto, si assiste a un progressivo isolamento dal resto del continente: gli editori veneziani, ad esempio, si adeguano alla censura, ripiegando su una produzione religiosa e cattolica, ma perdendo il primato europeo.
Nonostante tutto, però, il libro conserva il suo grande potere di veicolo di idee nuove e rivoluzionarie, come dimostra, nel 1610, la vicenda del Sidereus Nuncius di Galileo. Il piccolo libretto, nel quale lo scienziato annuncia le sue prime sensazionali scoperte effettuate col cannocchiale, è in latino, lingua che lo rende comprensibile a tutti gli studiosi europei, e contiene immagini e istruzioni su come prepararsi un cannocchiale (il lettore, insomma, è invitato a ripetere le esperienze dello scienziato, verificandole di persona). Tirato in 550 copie, dopo una settimana è già esaurito e dopo soli tre anni ne compare un riassunto in Cina.
Inoltre, come la maggior parte dei libri del Seicento, il Nuncius presenta un frontespizio ricco e articolato, contenente molte delle informazioni del colophon, come la data e la città, e una descrizione elogiativa del libro stesso. Anche la lunga dedica, piena di lodi e di preamboli, è in linea con il gusto barocco secentesco.
Dal punto di vista tecnico, secondo una tendenza già manifestatasi nel Cinquecento, le illustrazioni realizzate attraverso la xilografia lasciano quasi del tutto il passo alle incisioni in rame (calcografia), che consentono disegni più elaborati e sontuosi, spesso di grandi dimensioni.
Inoltre, parallelamente alle esplorazioni geografiche e allo sviluppo della navigazione, si pubblicano grandi atlanti a colori, come il celebre Ortelius, ma già nel Cinquecento il geografo fiammingo Gerard Mercator aveva dato un nuovo impulso alla cartografia e alla realizzazione di libri di carte geografiche.
Infine, comincia a diffondersi il genere del romanzo: riservato alle classi alte, è di natura mitologica o fantasiosa, oppure descrive le passioni nel mondo aristocratico; è di piccolo formato, e proprio libri di piccolo formato (12°, 16°, 24°), che hanno costi di produzione ridotti, costituiscono la fortuna dei più grandi editori del secolo, gli olandesi Elzevier.
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