Trovo sempre molto intrigante e stimolante l’incontro e il dialogo tra letteratura e arte visiva contemporanea, non solo per la passione che nutro per entrambe ma pure perché entrambe sono arte, appunto, e tra quelle primarie a disposizione dell’intelletto umano. Dunque, quando l’una incontra l’altra, o vi si mette al servizio ovvero vi si fonde, in qualche modo è come se i singoli valori si sommassero e ne generassero uno nuovo e doppio, o comunque ben maggiore: una dote che, ribadisco, ho trovato molto spesso fonte di riflessione e d’ispirazione per la scrittura letteraria.
Per questo (non solo, ma anche) riservo una particolare attenzione a quella produzione artistica visiva che utilizza il testo scritto, la parola, la lingua ovvero l’oggetto-libro per generare il proprio messaggio. E indubbiamente tra quegli artisti del Novecento che hanno saputo interpretare e offrire una rilettura (termine qui assai consono) dell’oggetto-libro, del suo senso primario e del suo valore, non si può non citare Bruno Munaricoi suoi Libri Illeggibili: opere molto particolari e ancora oggi assai originali che nacquero in risposta ad alcune semplici tanto quanto intriganti domande: si possono creare storie senza parole e immagini? Un libro può comunicare senza i suoi elementi comunicativi tipici? Ovvero:
“…il libro come oggetto, indipendentemente dalle parole stampate, può comunicare qualcosa?”
(Bruno Munari, Da cosa nasce cosa. Appunti per una metodologia progettuale, Laterza, 1981)
Munari, innovativo designer nonché artista creativo ed eclettico, lancia una sfida: dal 1949 inizia a sperimentare nuove forme di linguaggio visivo e nuovi materiali editoriali creando i Libri Illeggibili, una collana che può essere “letta” dai bambini e nella quale rilegatura, inchiostro e testi non contano nulla. Il libro diventa un oggetto che racconta storie senza l’utilizzo della parole.
Non vi è ordine, non ci sono margini e tanto meno numeri di pagine. Forme, colori e tagli sono i paesaggi di questa narrazione che non ha né inizio né fine; si può andare avanti e indietro; si possono “leggere” capovolti o da metà. Colori allegri, tristi e drammatici; forme taglienti o morbide, fori che saltellano da una pagina all’altra sono i protagonisti senza tempo e senza nome che ci accompagnano lungo un racconto sensoriale. Citando l’artista stesso, «è un libro di comunicazione plurisensoriale, oltre che visiva. Fu così che nacquero i “libri illeggibili”, così chiamati perché non c’è niente da leggere ma molto da conoscere attraverso i sensi» (Bruno Munari, Libri senza parole, in R. Pittarello, Per fare un libro, Milano, edizioni Sonda, 1993)
In quest’opera fori rotondi ci svelano e portano tra le varie pagine, svelando foglio dopo foglio il percorso di un filo rosso che ci accompagna fino a sparire nell’ultima pagina. Un percorso che va al di là del solo vedere, perché i colori (rosso, nero e grigio) vengono percepiti diversamente da ognuno di noi. Dove si riscopre il tatto passando da carte ruvide a lisce, da leggere e pesanti. In cui anche l’olfatto ha una nuova veste: le diverse tipologie di foglio hanno odori differenti. Così come gli odori e le sensazioni tattili anche l’udito trova in questo volume nuovi stimoli, il filo che scorre ed interagisce con le diverse carte non fa sempre lo stesso rumore.
A questo progetto si affiancarono poi altri studi sui libri: ad esempio i Libri Tattili e i Pre-Libri, tutti lavori incentrati sull’importanza di vie comunicative “alternative”, e nuovi modi di stimolare la creatività dei bambini e di stupire gli adulti.
Per saperne di più potete visitare il sito munart.org, sorta di database web dell’artista e della sua opera, che – come ribadisco – risulta a tutt’oggi parecchio interessante e illuminante, oltre che sotto molti aspetti provocatoria: a ben vedere, oggi di libri assai ricchi di testo e parole ma che alla fine non raccontano nulla (ovvero che sono “illeggibili” ma proprio perché scritti – malissimo!) ve ne sono un sacco in circolazione, no? Beh, forse una riflessione sui Libri Illeggibili di Munari e sul concetto di fondo che esprimono può essere parecchio utile, a noi che scriviamo, per capire se le nostre parole scritte dicono e comunicano veramente qualcosa, al lettore.
Luca Rota
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